La soia è un prodotto largamente utilizzato da vegetariani, vegani e chiunque sia alla ricerca di un valido sostituto della carne. I semi di questa leguminacea sono estremamente versatili, possono infatti essere processati e trasformati in latte di soia, tofu, farina nonché salsicce ed hamburger senza carne.
Tuttavia la produzione intensiva di soia ha incontrato una feroce critica per il suo ruolo nel processo di deforestazione del Sud America.
Soia e deforestazione
I due Paesi più importanti nella produzione di soia sono Stati Uniti e Brasile, che insieme rappresentano circa il 64% della produzione globale.
La soia è il principale prodotto esportato dal Brasile in termini di valore economico. Da diverso tempo si sono sviluppate serie preoccupazioni circa quanto questa produzione sia alla base della deforestazione dell’Amazzonia e delle regioni circostanti.
Questo non significa che i vegetariani siano responsabili della deforestazione in Amazzonia.
La stragrande maggioranza della produzione di soia è infatti utilizzata nell’alimentazione degli animali, con appena il 6% mangiato direttamente dagli esseri umani.
Mangiare soia è sicuramente più sostenibile dal punto di vista ambientale che mangiare derivati di animali da molti punti di vista. Una dieta vegana è responsabile di circa la metà dell’emissione dei gas serra di una dieta onnivora.
Dal 2006 è in vigore una “moratoria della soia” in Brasile. Questa moratoria è un accordo tra le aziende che acquistano pressochè l’intera produzione di soia del Paese.
Questo accordo prevede l’impegno a non acquistare soia coltivata su territori recentemente deforestati e di inserire in una lista nera i coltivatori che si scopra facciano uso di lavoratori schiavizzati o sottopagati. La verifica viene condotta grazie a dati satellitari e questo accordo è stato rinnovato in maniera indefinita nel 2016.
Fatto l’accordo, trovato l’inganno
Molti ritengono che la soia venga semplicemente coltivata su terreni deforestati in passato, in precedenza utilizzati per il pascolo degli animali, mentre gli animali vengono spostati su terreni deforestati da poco.
In teoria sarebbe in vigore anche una moratoria sulla deforestazione per il pascolo degli animali in Brasile, ma è molto più difficile accertare le violazioni in quanto il bestiame è più semplice da spostare o nascondere.
Gli accordi coprono solo la parte di territorio in cui i capi si trovavano poco prima di essere macellati.
Ciò significa che il bestiame può subire un “lavaggio” normativo venendo allevato su un territorio recentemente deforestato e poi spostato su aree permesse solo alla fine.
“Gli allevatori sostengono che questo tipo di frode sia una pratica comune ed accettata, e che non è vietata dagli accordi” si legge nel Journal of the Society for Conservation Biology.
La produzione di soia è l’utilizzo più profittevole della terra reclamata nella regione. Per questo, anche se la moratoria costringe gli agricoltori ad arrabattarsi per portarla avanti, il gioco per loro vale la candela.
Le cause della deforestazione dell’Amazzonia
Il tasso di deforestazione della foresta amazzonica scese del 70% tra il 2005 ed il 2013. Recentemente però è ripreso a salire, benchè le quantità siano ancora molto lontane da quelle orribili viste nei primi anni duemila.
E’ molto allettante il fatto di attribuire la discesa alla moratoria sulla soia, ed in effetti il modo in cui è stata descritta può portare a facili entusiasmi.
Un articolo del 2017 sottolineò come, benchè abbia sicuramente avuto un impatto, la discesa più grande (di circa il 50%) ebbe luogo prima che la moratoria venisse firmata.
La politica fu inevitabilmente una delle cause maggiori. Il grande progresso fatto nei confronti della deforestazione avvenne sotto il governo di sinistra guidato da Lula da Silva, che ne fece un obiettivo politico.
Al contrario, il nuovo presidente di estrema destra Bolsonaro ha apertamente espresso la volontà di riprendere a deforestare. Che sia per coltivare soia o meno, le previsioni per l’Amazzonia nei prossimi anni appaiono purtroppo sempre più fosche.