L’Unione Europea sta varando uno dei più importanti progetti dalla sua fondazione, con il quale punta a cambiare quasi tutti i maggiori aspetti della sua economia nell’ottica dell’attuale emergenza climatica ed ecologica.

Il Green New Deal è per l’appunto questo: un piano estremamente ambizioso per combattere il cambiamento climatico.

Gli obiettivi che si prefigge per il 2030 sono una riduzione minima del 40% nelle emissioni di gas serra rispetto ai livelli del 1990, il passaggio ad una fetta almeno pari al 32% rappresentata dalle rinnovabili nei consumi finali di energia ed almeno un 32,5% di consumi di energia in meno.

L’Europa dovrà mettere a disposizione l’1-2% del proprio GDP annuo per lo sviluppo della green economy, inclusa la costruzione di nuove infrastrutture, appalti pubblici, ricerca e sviluppo e supporto alla conversione verde delle aziende.

Soldi per il clima

La Commissione Europea stima comunque già oggi che saranno necessari ulteriori investimenti per raggiungere gli obiettivi climatici del 2030, arrivando ad una cifra di 260 miliardi di euro all’anno.

Di questi fondi ad oggi sono stati messi a bilancio 45 miliardi di euro all’anno nel periodo 2021-2027. Questo porta a concludere che i fondi stanziati non siano sufficienti, da dove verranno quindi le coperture per far fronte alla differenza?

Secondo la commissione i 215 miliardi di euro dovranno arrivare da contribuzioni di privati, aziende e governi nazionali. “Abbiamo bisogno di climate cash (soldi per il clima) per evitare un climate crash (catasfrofe climatica) ha dichiarato recentemente il membro della Commissione Europea per il Bilancio Johannes Hahn a Routers.

Dei quasi mille miliardi stimati dal piano d’investimenti decennale dell’UE, circa la metà arriverà dal bilancio a lungo termine della stessa UE, ha dichiarato la Commissione. Questo dovrebbe dare l’avvio a più di 100 miliardi in co-financing dai governi.

In definitiva circa 300 miliardi arriveranno da fondi privati mentre altri 100 dall’EU Just Transition Fund che serviranno ad aiutare le regioni europee dipendenti dal carbone, come la regione mineraria della Silesia in Polonia, a diventare più “verdi”.

Tutte le nazioni europee tranne la Polonia infatti hanno aderito al cosiddetto Green New Deal che dovrebbe portare alle riduzioni di cui sopra nei prossimi 30 anni, in maniera da evitare quella che molti considerano una “catastrofe climatica”.

Un Fondo ad hoc per chi è rimasto indietro

La Polonia non ha aderito agli obiettivi di emission-neutrality per il 2050, adducendo alle motivazioni l’eccessiva dipendenza del proprio sistema energetico ed economico dal carbone e dalla lignite per effettuare la transizione in quell’arco temporale. Il Just Transition Fund, come detto, servirà a superare queste resistenze.

“Sì, credo che sarà sufficiente (a convincere la Polonia ad aderire all’obiettivo di neutralità climatica entro il 2050, ndr.)” ha dichiarato il già citato Commissario Hahn. “E’ un fondo molto allettante in quanto dà loro l’opportunità di avere più soldi a bilancio ed accedere a finanziamenti” ha poi aggiunto.

Il Fondo dovrà “aiutare territori con alti tassi di disoccupazione nei settori della produzione di carbone, lignite, petrolio da scisti oleosi e torba, così come territori con industrie ad alta produzione di anidride carbonica che dovessero essere chiuse o pesantemente ammodernate nella fase di transizione a modelli più ecosostenibili” si legge nella proposta della Commissione.

Il denaro andrà a quelle aree che producono la maggior parte delle emissioni di CO2 legate all’industria, dove sarà necessario riconvertire anche i lavoratori insegnando loro nuove skill.

Chiaramente si terrà conto nella ripartizione dei fondi della ricchezza della nazione ricevente, in maniera che una regione all’interno della più povera Romania riceva più denaro di una regione comparabile nella più ricca Germania.

I 100 miliardi di euro che costituiranno il Fondo arriveranno da un mix di fonti e probabilmente il grosso sarà raccolto grazie ad un input di 7,5 miliardi di euro dal bilancio EU, garanzie europee e prestiti dalla Banca d’Investimenti Europea, in maniera da attrarre fondi privati per coprire la parte più rischiosa dell’investimento.

Mani più libere per i Governi nazionali

Per ampliare le possibilità di finanziamento, la EU rivedrà inoltre le proprie regole contro i cosiddetti “aiuti di Stato” entro la fine dell’anno, in quanto esse normalmente dovrebbero prevenire i governi dall’aiutare le proprie aziende in difficoltà in maniera da non distorcere la libera competizione sul mercato, ma in alcuni casi impediscono la riconversione di industrie ormai obsolete.

I Governi saranno poi più liberi nelle spese relative ad energie rinnovabili, infrastrutture di ricarica di veicoli elettrici o riciclo di rifiuti, supporto ai lavoratori licenziati per la chiusura di miniere, investimenti in efficienza energetica degli edifici, finanziamento di progetti di teleriscaldamento o processi di produzione carbon-neutral, così come chiusura di centrali a carbone.

Oltre ad essere una grandissima sfida, la Commissione vede questo cambiamento verso un modello economico non basato sui combustibili fossili come una grandissima opportunità, soprattutto per l’industria, che sarà accompagnata verso la produzione di prodotti ecocompatibili, riutilizzabili e riparabili alimentata solo da fonti di energia rinnovabili.

L’Unione Europea troverà nuovo slancio e ragion d’essere alla luce di questo grandioso Green New Deal? Come sempre, ai posteri l’ardua sentenza.