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Una batteria che dura 400 anni sconfiggerà l’obsolescenza programmata?

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Sapete qual è uno dei più grandi problemi delle energie rinnovabili? Non è possibile accumulare, in grandi quantità, l’energia in eccesso che viene prodotta dalle varie tecnologie.

Ad esempio se in una giornata di sole, i pannelli solari della vostra casa producono più energia elettrica di quella che vi serve per le utenze, siete obbligati a ri-immetterla nella rete e la sera, quando il sole è tramontato, dovrete acquistare l’energia utile per le vostre esigenze.

Cosa succederebbe invece, nel caso fosse inventato un sistema di stoccaggio in grado di accumulare tutta l’energia che desiderate? Potreste forse diventare indipendenti dalla rete elettrica nazionale, ed è un’eventualità che diventa possibile dopo l’invenzione di una batteria che sembra poter durare 400 anni.

Mya Le Thai, dottoranda in chimica dell’Università californiana di Irvine, potrebbe essere l’ideatrice di una delle più clamorose invenzioni degli ultimi anni. La batteria in questione è composta di fili nanometrici, componenti che sono migliaia di volte più sottili di un capello umano. Sono inoltre altamente conduttivi e hanno una grande superficie per la memorizzazione e il trasferimento di elettroni.

Io non lo chiamerei caso, perché quando si lavora a un progetto è possibile che l’idea venga fuori nel momento in cui non ce lo si aspetta, ma questa scoperta è avvenuta mentre gli studiosi stavano cercando altro: la ricercatrice Mya si trovava in laboratorio per effettuare dei test sui nanofili per rendere migliori le batterie attualmente in commercio.

Insieme a un gruppo di colleghi stavano sperimentando, al posto del litio, l’uso di questi nanofili per creare delle batterie, giungendo però  alla conclusione che fili così sottili e fragili si sarebbero rotti a seguito di ripetute ricariche della batteria, rendendo quelle batterie inutili perché inutilizzabili.

Partendo da quell’esperimento dall’esito fallimentare, un giorno Le Thai decise di provare a ricoprire un insieme di nanofili d’oro mediante del biossido di manganese e a incastrare l’assemblaggio in un elettrolita costituito da un gel simile al plexiglas.

Al posto di utilizzare il liquido contenuto nel litio, che rende le batterie ricaricabili standard così sensibili alla temperatura e quindi a rischio di surriscaldamento, si è quindi deciso di testare questo gel, che ha reso la batteria affidabile e resistente alle rotture.

Sono stati fatti fare alla batteria più di duecentomila cicli di carica e scarica (è come se ricaricaste il vostro cellulare e immediatamente lo portaste allo 0% di batterie, poi lo riattacareste al caricatore e così via) . Non si è rilevata la minima perdita di capacità. Questi dispositivi, di solito, perdono del tutto le loro qualità dopo massimo 7000 cicli, hanno sottolineato i ricercatori, e quindi il miglioramento è incredibile.

Come già detto, le batterie sono fondamentali per lo stoccaggio e l’alimentazione della rete, ma rappresentano allo stesso tempo una considerevole fonte di inquinamento in tempi sempre più recenti la durata e la volatilità dei materiali tecnologici è diventata preoccupante: ogni oggetto subisce un invecchiamento molto veloce, rispetto ai prodotti che si realizzavano tempo fa.

I nostri nonni ci  direbbero: “una volta i prodotti dell’industria erano fatti per durare, ora vi ritenete soddisfatti se la lavatrice funziona per 3 anni senza avere problemi”. Ed è vero! Oggigiorno tutti gli elettrodomestici sono realizzati imponendo al momento del loro assemblaggio, un numero di ore di funzionamento standard dopo le quali iniziano ad avere dei malfunzionamenti, legati soprattutto ai circuiti elettrici interni.

E a noi, abituati fin da bambini a volere sempre il giocattolo più nuovo, non interessa il fatto di alimentare in questo modo un industria malata. In questo contesto, inoltre, si inserisce il problema dell’accumulo di materiali che compongono oggetti che non ci interessano più.

Questi materiali, vecchi e inutilizzati, portano ad un problema altrettanto sentito ed importante: quello dello smaltimento dei rifiuti. L’imponente informatizzazione della nostra vita sta portando allo sviluppo di masse enormi di rifiuti elettronici difficilissimi da smaltire.

La frequenza con cui cambiamo cellulare o TV è infatti troppo alta per poter essere fronteggiata da un adeguato riciclo, e il risultato è la formazione di montagne (letteralmente parlando) di metallo, plastica e componenti elettroniche. Smaltire questi rifiuti può comportare conseguenze disastrose in termini economici, ma anche e soprattutto ambientali.

Avere a disposizione una batteria che sia ricaricabile così tante volte ha del sensazionale e non è quindi una questione di poco conto nell’era in cui viviamo. L’innovativa batteria potrebbe quindi realmente contribuire alla riduzione dell’inquinamento, visto che, come detto, gli accumulatori, sono mediamente un grosso problema ambientale.

Si candida, con buone aspettative, a sconfiggere l’obsolescenza programmata dei prodotti, a patto che riesca ad arrivare sul mercato. Non è infatti così scontato che i futuri esperimenti diano gli stessi risultati del primo, e in più c’è il problema del rivestimento in oro, un materiale prezioso e che costa tanto.

Andasse in commercio, dovremmo gettare nel dimenticatoio i carica-batterie di smartphone e tablet. Più a lungo termine si potrà pensare anche di inserirle all’interno di automobili e abitazioni, in modo da raggiungere l’obiettivo di utilizzare solamente più energie rinnovabili.

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