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In che modo è collegata l’alimentazione con i cambiamenti climatici?

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Nei diversi rapporti dell’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC) che sono stati pubblicati tra il 1990 e il 2007 è evidente come i cambiamenti climatici siano un dato di fatto e che all’origine del fenomeno ci siano soprattutto le emissioni di gas serra prodotte dalle attività umane.

Dalle ricerche risulta evidente come sia l’agricoltura sia l’allevamento incidono molto sul cambiamento climatico (sia come produzione diretta di gas serra sia influenzando il tasso di deforestazione) e come a sua volta il cambiamento climatico possa incidere sulle attività agricole.

In questo senso dunque la nostra alimentazione può incidere sui cambiamenti climatici: ciò che consumiamo ha subito precedentemente un processo di allevamento o crescita e di elaborazione, ed è questo che comporta i cambiamenti di cui parliamo!

Dati e statistiche

Negli ultimi 50 anni la temperatura media terrestre è aumentata di quasi 1°C e da diversi anni è opinione comune negli scienziati che questo aumento derivi dalle attività umane.

Gli allevamenti intensivi infatti sono responsabili dell’emissione in atmosfera del 51% dei gas serra (chiamati scientificamente GHG), composto soprattutto da anidride carbonica, metano e protossido d’azoto, ovvero i maggiori responsabili del riscaldamento globale.

Il dato che emerge quindi ci dice chiaramente che uno dei metodi più rapidi ed efficaci di fermare l’aumento della temperatura globale e potrebbe essere ridurre i numeri degli allevamenti intensivi!
Secondo uno studio della FAO infatti l’allevamento genera il 18% delle emissioni globali di GHG, addirittura più delle emissioni legate ai trasporti (13%).

Il dato del 18% si riferisce alle emissioni di gas serra prodotte dalle emissioni metaboliche degli animali da reddito e dal letame (compreso il metano), ma include anche tutte le emissioni prodotte lungo l’intera filiera alimentare altamente industrializzata ( dalla produzione di mangimi, alla trasformazione, al trasporto, imballaggio, trattamenti chimici, gestione dei rifiuti, ecc).

Di tutti i GHG di origine umana, almeno il 21% della CO2 deriva dalla produzione animale (considerando solo quella emessa dalla respirazione degli animali). In maniera indiretta gli allevamenti sono inoltre responsabili della elevata presenza di CO2 nell’atmosfera, anche per la distruzione di migliaia di ettari di foreste per fare posto ai pascoli.

ll 72% poi del metano totale invece derivante da attività umane emesso in atmosfera proviene sia direttamente dai processi digestivi dei ruminanti (bovini, ovini, caprini) che dall’evaporazione dei composti presenti nel letame.

Nel caso del monossido di azoto, per esempio, gli allevamenti contribuiscono per il 65% alle emissioni antropogeniche totali di questo gas, e per il 75-80%1 di quelle dovute alle attività agricole. L’NO2 proviene da due fonti principali: una è l’impiego di fertilizzanti chimici a base di azoto, senza i quali l’agricoltura intensiva non potrebbe sussistere.

I fertilizzanti azotati sono prodotti industrialmente (con grande impiego di energia e quindi emissione di GHG a loro volta) e riversati sui terreni agricoli, mentre tonnellate di deiezioni animali, che potrebbero essere utilizzate allo stesso scopo, rimangono inutilizzate a cielo aperto.

L’evaporazione dei composti azotati dai fertilizzanti e dal letame, che ne è la seconda fonte, è responsabile della formazione di monossido di azoto, il più potente dei tre GHG per effetto riscaldante. Ma cosa possiamo fare noi attivamente? Intanto scegliere con attenzione cosa includiamo nella nostra spesa di tutti i giorni.

È utile per esempio essere consapevoli di come dietro al prezzo della carne si nascondano costi che vengono pagati dai contribuenti come aiuti e premi agli allevatori e le spese sanitarie (degenza ospedali, giorni di lavoro persi ecc.) causate da: malattie cardiovascolari, cancro, diabete e obesità.

Queste patologie dimostrano infatti un’incidenza maggiore tra chi mangia carne. Se si pagasse inoltre una tassa sulle foreste distrutte o sulle emissioni di GHG prodotte da un certo bene alimentare, la carne avrebbe costi tanto elevati da essere proibitivi.

Come già accennato, una delle caratteristiche dei GHG è che permangono nell’atmosfera per molto tempo: le concentrazioni attualmente presenti continueranno quindi i loro effetti per diversi decenni ancora.
Secondo la FAO, l’allarme ambientale creato dalla produzione intensiva di animali è già elevato e, per evitare di aumentare i danni già ingenti, le emissioni devono essere dimezzate al più presto.

Cosa potremmo fare personalmente

Personalmente potremmo iniziare a sostituire piccole porzioni di carne con cotolette di soia oppure un piatto di legumi, quindi sostituire per almeno una volta a settimana un cibo ricco di proteine animali con uno di proteine vegetali. Infatti sostituire 1 kg di carne a settimana fa risparmiare 1872 CO2 equivalenti in un anno!

Con un piccolo cambiamento quindi si potrebbero ottenere grossi risultati, si tratta solo di essere a conoscenza di questi importantissimi dati! Non c’è bisogno di diventare vegetariani, si tratterebbe solo di ridurre il consumo di carne, scelta non solo importante per il futuro della nostra atmosfera, ma anche per la nostra stessa salute!

Infatti sostituire in alcuni pasti le proteine animali con quelle vegetali è una buona abitudine, consigliata da molti esperti dell’alimentazione, che aiuterebbe sicuramente il miglioramento del nostro stile di vita.

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