Dal 1960 ad oggi i disastri legati al clima sono più che triplicati. A riferirlo è l’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità), che alla Conferenza Globale sulla Salute e sul Clima di Parigi il luglio dello scorso anno ha per altro ammesso che il cambiamento climatico provocherà, in conseguenza di tali disastri naturali, direttamente o indirettamente, 250 mila morti in più ogni anno – da aggiungersi ai circa 1,3 milioni di decessi l’anno per l’inquinamento dell’aria.

A ribadire la drammaticità dell’impatto del cambiamento climatico sulla salute dell’uomo è il Lancet, una delle riviste più rinomate in campo medico, che afferma: “I cambiamenti climatici sono la più grande minaccia globale nei confronti della salute del 21° secolo”.

In generale possiamo affermare che gli eventi meteorologici estremi siano e saranno tra i principali fattori a influenzare la salute pubblica.

Ma perché? Perché il cambiamento climatico, generato principalmente dal progressivo aumento del riscaldamento globale, pari a circa 0,50°C negli ultimi 50 anni e dovuto soprattutto all’intensificazione delle attività umane (ricordiamo per importanza e impatto la deforestazione tropicale e lo sfruttamento di combustibili fossili); ebbene, perché questo cambiamento climatico modifica l’ecosistema terrestre con ovvie conseguenze per la salute degli uomini che lo abitano.

La ripercussione degli eventi meteorologici estremi sulla salute pubblica – riprendendo un elenco sintetico quanto desolante a cura di Manuela De Sario e Paola Michelozzi del Dipartimento di epidemiologia del Servizio sanitario regionale del Lazio – è dovuta a diversi fattori:

  • Aumento dei decessi e delle malattie causate dagli eventi climatici estremi quali precipitazioni intense, inondazioni, uragani, incendi e siccità;
  • Effetti del caldo e delle ondate di calore sulla salute, in particolare in alcuni sottogruppi di popolazione a maggior rischio (anziani, persone affette da malattie croniche, persone di basso livello socioeconomico o con condizioni abitative disagiate). Aumento della popolazione suscettibile a causa dell’invecchiamento della popolazione;
  • Anticipazione della stagione dei pollini nell’emisfero Nord, con concomitante incremento delle malattie allergiche causate dai pollini;
  • Aumento del numero di decessi e patologie attribuibili agli inquinanti atmosferici, in particolare all’ozono, la cui formazione dipende in gran parte dai livelli di temperatura e umidità;
  • Cambiamenti nella distribuzione spaziale, nell’intensità e stagionalità delle epidemie di malattie infettive (es: meningite meningococcica) e delle malattie trasmesse da vettori (es: malaria e Dengue);
  • Aumento di tossinfezioni alimentari (es: salmonellosi) e di tossine pro-dotte dall’aumento di «fioriture» di alghe;
  • Aggravamento della malnutrizione della popolazione nei Paesi in via di sviluppo a causa dell’aumento della siccità e del decremento dei raccolti agricoli;
  • Maggiore vulnerabilità delle popolazioni che vivono nelle zone costiere a bassa altitudine a causa dell’infiltrazione di acqua salata nelle riserve di acqua dolce, di allagamenti con conseguenti spostamenti delle popolazioni, in particolare nelle regioni densamente abitate (es: Bangladesh).

Come si può vedere l’influenza del cambiamento climatico sulla salute è dovuta sia a motivazioni direttamente correlate (a causa dei disastri naturali, allo stress da calore, per i mutamenti nel sopravvenire delle stagioni) sia alle implicazioni indirette (ad esempio l’alterazione della distribuzione geografica di alcuni insetti portatori di malattie, o l’effetto sulla sicurezza alimentare e sulla disponibilità di acqua potabile).

Prendiamo il caso delle malattie trasmesse da vettori: nella presentazione WHO “Health, climate change and WHO” del 2011, l’organizzazione sosteneva che la popolazione a rischio malaria (malattia veicolata dalle zecche), nel solo continente africano, crescerà di 170 milioni l’anno entro il 2030 e quella a rischio dengue di ben 2 miliardi entro il 2080.

Ora, sebbene la tragedia toccherà in primis la regione africana, impotente dinanzi ad alcune problematiche salutari già risolte in altri continenti, va precisato che una delle conseguenze del cambiamento climatico è l’espansione delle aree in cui gli insetti vettori di malattie sopravvivono e si moltiplicano.

La variazione nella distribuzione geografica di questi insetti potrebbe quindi causare la comparsa di alcune malattie in aree in cui ora sono assenti – e viceversa, la scomparsa da aree in cui erano precedentemente presenti. Per di più, data la realtà ormai prossima di epocali migrazioni climatiche, la diffusione di malattie trasmissibili è un’altra possibile conseguenza indiretta del riscaldamento globale.

Altre influenze indirette del cambiamento climatico da non sottovalutare per l’impatto sulla salute pubblica, sono i vari deterioramenti e le contaminazioni dell’ambiente: le inondazioni, ad esempio, possono trasportare inquinanti provenienti da impianti industriali, acque reflue e fognature, causando contaminazioni di acque potabili e terreni agricoli; sempre le inondazioni, ormai la norma pure nel nostro Paese (uno dei più interessati nell’area europea alle variazioni climatiche e ad episodi meteorologici estremi), comportano un impatto sulle operazioni di soccorso e sui servizi sanitari pubblici: ospedali allagati e perciò macchinari fuori uso significano un calo della capacità nell’affrontare il disastro naturale e quindi una minore capacità di fornire le cure necessarie ai pazienti – con conseguente aumento relativo di problemi a lungo termine.

Nonostante questi disastri siano sempre più frequenti e con sempre più frequenza vengano apocalitticamente annunciati dalle organizzazioni internazionali, la politica latita.

La sottovalutazione della relazione tra cambiamento climatico e salute pubblica è dovuta principalmente all’ignoranza in termini “economici” del problema: si prevede che entro il 2050 il cambiamento climatico nella sola Europa comporterà, oltre che 120 mila decessi l’anno in più, una spesa per 150 miliardi di euro.

Per quanto siano i decessi previsti la vera tragedia, affinché la politica si interessi della questione è bene sottolineare a più riprese che agire in tempi utili per fronteggiare la situazione in termini di prevenzione, adottando misure idonee (pensiamo solo allo spostare i macchinari medici dai piani inferiori delle strutture sanitarie, escludendo così guasti causati da eventuali inondazioni), significa ottenere un enorme vantaggio dal punto di vista che più interessa alla classe dirigenziale: un vantaggio economico.

Ecco, allora, cosa potrebbe smuovere le acque stagnanti dell’azione politica nei riguardi del cambiamento climatico: fargli presente che se alla morte dei più deboli sono indifferenti, ai miliardi che tocca pagare per ristabilire l’ordine di cui necessitano per fare i loro comodi, è bene badare.

E allora forse è davvero meglio prevenire che rischiare bancarotta e sommossa.

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